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Primarie?

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Primarie, croce e delizia di Agosto. Sono state importate dagli USA come strumento di trasparenza e democrazia diretta: il 16 ottobre 2005 furono utilizzate per la scelta del leader della coalizione di centrosinistra, che allora si chiamava “L’Unione”. Di unione ne hanno però creata poca, e a 10 anni esatti dalla introduzione nella Penisola, nella classe politica domina il ripensamento. Alcuni invocano la “regolamentazione per legge” (Cantone, Emiliano, ma anche Gelmini e Zaia), per evitare infiltrazioni e irregolarità. Eppure anche negli USA le primarie sono piuttosto fluide, cambiano da Stato a Stato e sono tutt’altro che prive di contestazioni. Nelle segreterie dei partiti, sia a Roma che a Milano dove si gioca il big match per Palazzo Marino, c’è un’idea bipartisan, ammessa a mezza bocca: le primarie sono una bella rogna. Costano molto e producono poco. Favoriscono i peggiori e aprono la porta a condizionamenti tutt’altro che democratici. Il Pd milanese, a partire dalla segreteria, ne farebbe volentieri a meno. Scalpitano per farle solo gli ex assessori. Il presunto candidato Sala ha posto addirittura la condizione netta: niente primarie. E a destra? Mariastella Gelmini non ha mai mostrato entusiasmo. Salvini, iniziale sponsor delle primarie, sta cambiando idea. I gazebo azzurri insomma difficilmente si vedranno. Ci saranno però i congressi FI, nelle provincie lombarde e a Milano, chieste con forza da più di un forzista milanese, anche per mettersi in luce.

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