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Italy, Italie, Italien!

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Lo spread sull’ottovolante, i mercati in fibrillazione, le borse fanno su e giù, il governo non nasce, Mattarella è teso, i parlamentari neo-eletti tremano per le urne imminenti. Che caos. Una cosa però va detta: l’Italia in questi giorni conquista le prime pagine dei quotidiani stranieri. Come ci trattano? Dipende dagli aspetti che più colpiscono la fantasia dei commentatori. Una fantasia che, lo si intuisce, ha tanto bisogno di essere catturata da una qualche svolta improvvisa, da un’emozione, da uno spavento che scompagini la routine della cronaca politica. E l’Italia non fa certo mancare il suo apporto in fatto di creatività. Ma scorriamo i giornali più importanti. Si va dal classico riferimento ai timori per una nuova crisi finanziaria della Süddeutsche Zeitung al razionale Le Monde che titola: “L’Italie en route vers de nouvelles élections”. Attenzione: “en route”, non “en marche”, di Macron non se ne vedono in Italia. Per il Financial Times la fiducia degli investitori rischia di venir meno. Aiuto. El Pais scrive di instabilità italiana e spagnola, accomunando nella precarietà nostri due Paesi. Su Die Welt c’è un fantastico grafico tricolore a tutta pagina che rappresenta l’euro sotto pressione. Ricorda la magnitudo dei nostri terremoti. Infine il New York Times. Ecco, qui il commento è affidato al contributing writer Beppe Severgnini. E’ lui che spiega il nostro Paese. Lo fa con una metafora: “Il week end scorso la barca col primo governo antieuropeo, capitanata da uno skipper dilettante ed equipaggiata con una bizzarra alleanza di due partiti populisti rivali, è affondata ancor prima di lasciare il porto. E anche se questo significa più turbolenza per il paese, è una buona cosa”. Complimenti al nostro Severgnini, molto saggio, come testimonia la bianca chioma. Ma Die Zeit si interroga: “Chi comanda in Italia, la maggioranza o le istituzioni?” E’ una domanda che riguarda in questo momento storico tutta l’Europa. “Può un Presidente, come in Italia Mattarella, rifiutare un ministro?” Conclusione, che suona come un epitaffio: “Per i populisti è una festa”.

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