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Lavoro Milano

All’Expo l’Università che muore

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L’Università italiana sta morendo. La diagnosi è dura, ma reale. I dati Miur sono drammatici anche per chi non sia incline al pessimismo: nel decennio 2004 – 2014 gli iscritti al primo anno sono passati da 338.482 a 260.245. Anche se in alcuni atenei del Nord le matricole fanno segnare una fragile tenuta, abbiamo perso 78 mila diciannovenni: uno su quattro. Un dato senza eguali in Europa, nemmeno nei Paesi fanalino di coda. Il tasso di passaggio dalla scuola superiore all’Università è crollato al Nord al 58,8 per cento e al Sud al 51,7, le cifre più basse degli ultimi dieci anni. Il tasso d’ingresso all’università in Italia è al 40 per cento quando tra le nazioni sviluppate è al 60: siamo in sostanza l’unico Paese in cui gli iscritti all’università diminuiscono. La situazione è questa, nero su bianco. E il blocco dell’ascensore sociale non aiuta. In Italia la laurea serve poco. Serve all’estero, ma allora tanto vale iscriversi all’estero. Come invertire la rotta? Due le ricette su piazza: o tornare ad un massiccio investimento pubblico su scuola e istruzione, o liberalizzare sistema e innescando la competitività tra Atenei. Nel frattempo nessun Ateneo italiano figura tra i primi 100 al mondo. Solo al 180mo posto arriva il Politecnico di Milano. E proprio a Milano la classe politica alle prese con i progetti per il dopo Expo è chiamata a rispondere ad una domanda: quale Università mandiamo al sito Expo? Certo, lo spostamento a Rho potrebbe essere accompagnato da un progetto di riforma universitaria , con interventi massicci per la qualità degli studi. Ma finora si è letto poco di tutto questo: solo generici ed entusiasti accenni a “campus” e “poli di innovazione”. Il rischio, a carte invariate, è di erigere a Rho non la culla ma la tomba dell’Università italiana. Fuoriporta, come si addice ai camposanti.

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